La Filanda

I viaggi degli escursionisti
00:00


TERRA DEL FUOCO E PATAGONIA - di Antonio seconda parte

 

 

Isla Magdalena

Attraversato lo stretto di Magellano, Punta Arenas è stata per anni sentinella del 52° parallelo sud, del passaggio fra Atlantico e Pacifico; ancora adesso la città è base dell’Armada Cilena e nei negozi spiccano adesivi che promettono sconti ai militari e alle loro famiglie 

La storia dell’emigrazione in questa città parla, dagli inizi del ‘900, anche croato, ed è in questa città che venne eletto deputato Salvator Allende.

Dal porto di Punto Arenas parte, dovrebbe partire, il viaggio verso l’Isla Magdalena, isola in mezzo allo Stretto di Magellano, isola che è la casa dei pinguini, anzi, Monumento Natural los Pinguinos

Dovrebbe, ma rischiamo di perderla, Isla Magdalena; i venti e le correnti dello stretto rivendicano presenza e forza, e allontanano le isole dello stretto da Punta Arenas, per renderci irraggiungibili i pinguini.

Pinguini, mare, vento e onde diventano l’argomento di conversazione della prima cena in terra cilena e un brindisi con la Cerveza Austral sigla il patto “Pinguini comunque!!”; passiamo la mattina dopo controllando dalla finestra dell’albergo il vento e l’altezza delle onde nello stretto , sperando nella possibilità dell’attraversamento.

Mattinata di vagabondaggio per il paese, persi in negozi per turisti, poi buone notizie, partiremo; il nostro viaggio, i nostri tempi avranno un piccolo cambiamento, ma l’appuntamento con i pinguini è imperdibile.

Di nuovo nello stretto di Magellano, questa volta meno amichevole; il traghetto che ci porterà all’Isla deve avere la stessa età di quello che ci ha portato a Punta Arenas, non ci sono le pecore ma è pieno di turisti, ma nel cambio ci abbiamo rimesso.

Ci accoglie, piena di lucine come un presepe di Piedigrotta, una statua della Madonna, ai piedi della scaletta che del ponte di accesso sale verso i ponti destinati ai passeggeri.

Ci vogliono due ore per arrivare da Punta Arenas alla Isla, molto di più di quanto impiegato per attraversare lo stretto; il traghetto è d’altri tempi, con le comodità ridotte ad una poltroncina, e non per tutti, e un bar che vende solo bevande dal gusto più che discutibile ma con il pregio di essere calde.

Dopo molte onde e vento di traverso il traghetto cala il ponte d’accesso, e i turisti in attesa possono avviarsi verso il Monumento Natural Los Pinguinos; alcuni di loro, i pinguini più curiosi, i meno occupati nelle loro faccende, sono venuti ad osservarci, ma si allontanano velocemente, in fila, piegati in avanti, a contrastare il vento

Il nostro sentiero è tracciato ,è il paseo, non possiamo uscire dal paseo e dalle corde messe fra i paletti che lo delimitano: il sentiero sale verso un faro bianco e rosso, come quello della fine del mondo, ma stavolta non ci sono leoni marini.

Da entrambi i lati del paseo emerge, letteralmente, una distesa di pinguini; pinguini che si muovono in fila in gruppo, pinguini in piccole buche contornate da un’area bianca (guano), in genere in tre per buca, e uno dei tre è un piccolo, si riconosce dalle piume più incerte   e dal colore grigio.

Pinguini in processione; pinguini che si fermano, alzano il becco e lanciano il loro appello d’amore; pinguini ovunque, ma è la loro isola.

La specie di pinguino che popola l’isola è chiamata, non casualmente, visto il luogo, pinguino magellanico; il pinguino magellanico è piccolino, non è più alto di 40 cm, molto più piccolo rispetto al cugino pinguino imperiale che può arrivare invece a 90cm .

Saliamo e scendiamo sulla collinetta del faro, e facciamo un giro che ci riporta verso il punto di attracco; il nostro traghetto si è allontanato dal punto di approdo, per non essere spinto da vento e onde contro gli scogli.

Il traghetto sii avvicina di nuovo, abbassa il pontile e saliamo di corsa, osservati da pinguini indifferenti , mentre anche la colonia di gabbiani mostra la sua distanza dalla nostra presenza.

Due ore di viaggio ci riporteranno a Punta Arenas, e  al ritorno le onde sono più alte, le più sfacciate scavalcano le paratie e spruzzano il ponte del traghetto.

A punta Arenas ci aspetta un nuovo autobus, e un lungo viaggio nella Patagonia Cilena, 250 chilometri lungo la Ruta 9, che torna a costeggiare la linea retta che fa da incerto confine con l’Argentina. Più di tre ore di viaggio per arrivare, a tarda ora, al nuovo albergo, a Puerto Natales, lungo il Seno Última Esperanza, il fiordo dell’Ultima Speranza del capitano Juan de Ladrillero

Il nome dell’albergo, Remota Hotel, è una promessa, quasi mantenuta

 

Le Torres del Paine

Dagli Appennini alle Ande. Quasi

In fondo Bologna è ai piedi dell’Appennino e la Cordigliera del Paine, verso cui siamo diretti, è parente stretta della cordigliera delle Ande.

Dagli Appennini alle Ande .Quindi.

In fondo è il libro Cuore ad accompagnarci fin qui, prima di Chatwin, con le navi degli emigranti a Buenos Aires, anche se di quel libro ricordo solo De Rossi (il ricco) Garrone (il buono) e Franti (l’infame), la piccola vedetta lombarda e, appunto, Appennini & Ande.

Partiamo quasi presto, risaliamo in autobus e ci avviamo, sperando nella  fortuna

Per vedere le Torres del Paine bisogna essere fortunati; capita spesso che le cime siano nascoste da nuvole rimaste impigliate lassù, e noi non siamo fortunati.

Le immagini, le foto e i disegni ce le raccontano come torri quasi dolomitiche, inespugnabili per gli scalatori; lo sono state anche per la nostra vista.

Le nuvole che sono impigliate sulle Torri sono le stesse che, nei ricordi del  film a cartoni animati Saludos Amigos, il piccolo aereo Pedro si trova a dover affrontare per consegnare la posta. Nubi altissime e montagne cattivissime, che spaventarono il piccolo Pedro.

Non abbiamo posta da consegnare, ma le Torres del Paine rimangono fra le nubi, lontane e sconosciute. Le altre montagne, i Cuernos del Paine, sono più generose, e il loro ricordo riempirà le memorie delle macchine fotografiche.

Se lo stretto di Magellano e l’oceano sono diventati lontani, non perdiamo il contatto con l’acqua, adesso è il turno di fiumi, cascate e laghi; facciamo la conoscenza del río Paine, del salto Grande, e del lago Pehoé, tutti ricevono acqua dai ghiacciai del gruppo delle Torres, che noi continuiamo a non vedere

Gli animali della steppa patagonica,  ligi al compito loro assegnato,  popolano la strada che ci porta attraverso il parco, mostrandosi alla comitiva privata del ricordo delle Torri: quindi le memorie di macchine fotografiche e cellulari rimediano all’astinenza da Torri con guanachi, parenti meno noti dei Lama, dei nandù, cugini strettissimi degli struzzi, mentre nel cielo, a rispettosa distanza, qualche condor, che passa e va molto in alto e solo gli obiettivi più potenti riescono a catturali.

 

La Patagonia cilena  rende più evidente quanto era già apparso nel viaggio in Terra del Fuoco, verso e attraverso lo stretto di Magellano, ovvero la presenza di specie animali non tanto selvaggi (passano vicinissimi al nostro autobus), quanto differenti dai nostri, come sono differenti le stelle e i cieli che li guardano

L’animale più atteso, ignoto ai più, ma figlio di letture di viaggio per un piccolo gruppo di maniaci, è il Meliodonte; animale preistorico, estinto nonostante le ripetute affermazioni dei primi fantasiosi esploratori che asserirono di averne visti esemplari vivi e si fecero pagare fantasiose spedizioni da importanti sponsor alla ricerca di grandi scoperte.

Una specie di orso preistorico, che vediamo solo replicato in più statue, nella grotta in cui sono stati trovati i suoi resti e all’uscita di Punta Arenas; in realtà lui, il Meliodonte, è una delle cause di questo viaggio, perché Chatwin era partito sulle sue tracce, all’inseguimento di un pezzo della pelliccia di questo animale, in ricordo di suo nonno.

Nella grotta del Meliodonte Chatwin dichiara di aver ritrovato il brandello che cercava, e dal lungo viaggio per arrivarci ne era uscito un libro. Libro che, insieme ad altri, mi ha portato fin qui, ma noi, nella grotta del Meliodonte, non troviamo nulla, e ce ne torniamo a Puerto Natales guardando indietro, dai finestrini, con la vana speranza che le perfide nuvole abbiamo abbandonato le Torres del Paina

 

Il Lago Argentino

Da Puerto Natales a El Calafate 270 chilometri di pampa patagonica fra Chile e Argentina, con il passaggio di due frontiere.

Dall’autobus la vista sulla steppa; questa volta non c’è il mare, che ci ha accompagnato dalla terra del Fuoco allo stretto di Magellano. La strada si allunga sull’altipiano, costeggiando il bordo, e guarda la pampa fino alle montagne e dalla strada risalta ancora di più l’alternarsi di colori fra il marrone e il giallo, con qualche punta di verde, e la pampa è schiacciata su un orizzonte lontano sotto l’azzurro del cielo, punteggiato dal bianco delle nuvole.

Nella sua linearità e nel sembrare non finire mai, è un paesaggio che rapisce lo sguardo e porta lontano

Ci lasciamo alle spalle l’ultimo controllo al Paso Fronterizo Dorotea, il passo di frontiera cileno, il punto di passaggio dalla regione delle Torres del Paine in terra cilena a quella del Parco nazionale Los Glaciares, in Argentina, fino all’arrivo ad El calafate, sulle sponde del Lago Argentino, sede delle ultime due tappe di questo lungo viaggio

Un nuovo albergo per la sosta più lunga del viaggio; niente mare nelle vicinanze, solo il Lago Argentino.

El Calafate è un altro mondo rispetto alla Fine del Mondo; non è paese di frontiera, non dominano  le case in lamiera, le montagne sono in lontananza, e su El Calafate non incombono acque scure, non ci sono pinguini o leoni marini e tutto ha un aspetto talmente ordinato da essere finto.

È una località di villeggiatura, come potrebbe essere in Europa, con una collocazione incerta fra la località balneare, anche se il lago Argentino non ha spiagge su cui sdraiarsi a prendere il sole, e quella di montagna, anche se mancano le attrazioni più popolari come i boschi, le baite; El Calafate ha case nuove, anche a più piani, viali larghi, negozi, ristoranti, alberghi e, in apparenza, un solo distributore di benzina affollatissimo il sabato sera.

Anche le acque che attraversiamo verso la nostra prima meta sono diverse dallo stretto di Magellano o dal canale di Beagle.

Diverse per il colore; non più il blu scuro, ma un azzurro pallido, lattiginoso, dipinto dalla polvere che i ghiacciai portano in basso.

Non più isole popolate da uccelli , ma iceberg azzurri, alcuni più chiari, altri più azzurri, qualcuno più grande; attraversiamo il lago Argentino fra acque azzurro pallido, come il Titanic fra gli iceberg,una pioggia sottile cerca di tenerci in cabina, ma neanche questa volta ci riesce.

Gli scatti oggi sono su toni dell’azzurro: gli iceberg, le acque del lago, un pezzettino di cielo.

Sbarchiamo dall’altra parte del lago, dalla parte opposta a El Calafate; qui, fino a pochi anni fa, una fattoria, una estancia, la estancia Cristina, con mucche, pecore e collegata al resto del mondo solo da un battello.

Ora sono rimaste solo poche mucche, inselvatichite, unico esempio di mucca selvaggia e pericolosa, la fattoria non abita più qui

Però davanti a noi, i ghiacciai, il Parque Nationa Los Glaciares.

I ghiacciai sono più di 40, non tutti hanno un nome, e occupano un’area di quasi 5.000 chilometri quadrati, più del Molise, poco meno della Liguria; non c’è bisogno di arrampicare per arrivare faccia a faccia con il Ghiacciaio

Parte del percorso è su  un veicolo 4x4 , e poi a piedi una camminata che ci permette di incontrare i resti fossili di animali e piante lasciati qui da un mare che c’era e poi è andato via; dietro la curva di fronte a noi il Glaciaro Upsala, i suoi saracchi scuri, una superfice di ghiaccio che la luce, il passaggio dell’acqua dipingono ora di bianco ora d’azzurro. Ai piedi del Ghiacciaio le acque del lago Argentino; qui finisce il ghiacciaio, non prima di aver donato al lago gli iceberg che abbiamo incontrato.

E poi ancora il bianco delle cime dei monti, delle immancabili nuvole e l’azzurro del cielo; e alla fine un bel piatto di maccheroni che non rimpiange troppo l’Italia.

Se il ghiacciaio Upsala ha mantenuto le distanze, ed è stato avvicinato solo dagli obiettivi più potenti, il Perito Moreno sembra quasi di poterlo toccare.

Appare dietro una curva, appostato davanti al mirador, per farsi ammirare; incuneato nelle acque del lago argentino, un fronte lungo 5 chilometri, un muro che fa angolo sul Lago argentino, due chilometri e mezzo di lato di ciascun angolo

All’inizio lo vedi bianco, ma ogni momento mostra dell’ azzurro nelle fessure che si aprono sul suo fronte e nei blocchi che si staccano dalla parete e si tuffano nel lago.

Se il fronte è imponente, continuando i paragoni con l’Italia la sua dimensione complessiva è superiore a quella dell’Isola d’Elba.

Gli giriamo intorno, rimanendo a rispettosa distanza, ma avendo sempre l’impressione di poterlo toccare; solo l’impressione, però, e lo capiamo dai puntini, perché quelli che sembrano puntini sul bianco sono escursionisti che fanno un trekking sul piano avanzato del ghiacciaio, mentre quelli persi nel blu nel lago sono canoe che mantengono una rispettosa distanza dal fronte del Perito Moreno.

Ci avviciniamo con un battello, e assistiamo allo spettacolo di un enorme blocco di ghiaccio che si stacca dalla parete e scivola in acqua. Il Perito Moreno ha dato il massimo del suo spettacolo e ci saluta. Anche noi lo salutiamo, e ci prepariamo a salutare l’Argentina

 

Dalle Ande (circa) agli Appennini (o giù di lì)

… da Buenos Aires..