Un pulmino con rappresentanti del Portico della pace, della Parrocchia di S. Bartolomeo della Beverara e di Percorsi di pace è partito per un incontro con l’Associazione Emmaus Bosnia, per stabilire un ponte di comunicazione, per portare solidarietà e per programmare nel migliore dei modi il nostro aiuto per i migranti.
La delegazione ha un fitto programma per questi giorni, visite, incontri e accordi che permetteranno di inviare direttamente le donazione raccolte e di seguirne l'utilizzo.
Ecco il viaggio
VENERDÌ
Si parte all'alba
13.00
Arrivo a Velika Kladuša nei boschi vicino al confine, visita ad alcuni campi selvaggi.
Incontriamo Adb. che proviene dal Bangladesh, è stato respinto a bastonate dalla polizia croata. Ha sulle spalle e nelle gambe 17 tentativi di passaggio, quello che chiamano Game.
Nell'edificio abbandonato si riparavano 300 persone tra afgani e pakistani al piano terra e arabi al primo piano. E' stato sgomberato un mese fa dalla polizia che ha riportato i migranti a Lipa, dove si spegne la speranza del Game.
Allora piano piano ritornano... 4 pakistani al primo piano e... una cucciolata di cagnolini al piano terra.
Ahmad di Kunduz ci mostra sul telefonino la foto con moglie e figlio.
Lui ha 27 anni e la moglie 26, il piccolo Yousef ha 2 anni, è nato a Mitilene, in Grecia. Oggi sono bloccati e divisi: la moglie e il figlio sono finalmente a Zagabria con il documento di richiedenti asilo; lui è rimasto solo in uno squat a Velika Gladusa BIH, gli ematomi alle gambe di uno dei tanto respingimenti violenti
Mohamed Alì e i suoi amici da Lahore (Punjab pakistano)25 tentativi di Game e domani riprovano. Rifiutano i sacchi a pelo che offriamo perchè troppo pesanti. Riproveranno domani ancora tutti insieme, nonostante sia più difficile, ma almeno visto che sono grandi e grossi non prendono le botte dalla polizia. È il tramonto e tornano al loro "cielo da letto"
SABATO 20 MARZO
Anche oggi partenza di buon mattino, alle 7 siamo pronti.
Prima tappa: Campo di Lipa ('tiglio' in bosniaco). Causa 120 persone positive al Covid su 850, il campo da ieri è in quarantena, dunque abbiamo potuto solo guardarlo dall'esterno quando abbiamo accompagnato il camioncino con gli 850 pasti preparati con gli operatori di Emmaus Bosnia.
Il cestino corrisponde alla colazione+cena, e ha un valore di 3,50 € il pranzo invece viene preparato caldo nelle cucine da campo dalla Croce Rossa, unica organizzazione autorizzata ad entrare nel campo che è statale e presidiato dall'esercito.
Lipa è una fortezza, un posto chiuso e isolato, da fuori non si vede praticamente nulla e comunque non te lo permettono. I migranti restano nelle grandi tende lontano, in giro non vedi nessuno. Sarà così anche negli altri due campi per famiglie che dovevamo visitare sempre nei dintorni di Bihać: Sedra e Boriči. Sarà il Covid o le camionette dei militari all'entrata, fatto sta che non avremo la possibilità di vedere nulla, nonostante i tentativi... Ma di cose ne vedremo comunque, e purtroppo ne avremo abbastanza!
Ma siamo ancora nella mattina abbagliante e gelida davanti a Lipa sperando che si apra un varco, impotenti per mezzora davanti a una distesa di neve e baracche a 30 km da Bihać...
"Perché hanno fatto lì il campo?", "Perché è lontano da tutto, nessuno vede e se nessuno vede il problema non esiste" ci dice Lejla.
Ce ne andiamo. Dopo un po' ci manderanno le foto del tendone in cui sono stati distribuiti i nostri aiuti.
Torniam
o in città, dopo un caffè veloce (la moka è rimasta a Bologna), visitiamo il primo squat della giornata: il Dom Penzionera, un'ex residenza per anziani gigantesca, di tre piani, nel centro di Bihać, dove dormono almeno 200 persone a notte. Afgani e pakistani in maggioranza, ma anche marocchini, libanesi, palestinesi e perfino una signora ucraina. In condizioni critiche e disperate. Alberto si ferma con un gruppo di afghani che lo invitano a mangiare il bratà, un impasto di pane fritto nell'olio, quasi una 'crescentina' per lui che è di Bologna dove ogni tanto va a mangiare al 'Kabulagna', primo ristorante afghano dell'Emilia-Romagna aperto da Jan di Kabul. Dobbiamo andare.
A pranzo incontriamo Silvia e Claudia di IPSIA Acli, organizzazione che porta avanti tanti progetti, soprattutto nei campi di Lipa e Sedra. Scopriamo anche che, nel tempo libero, si occupano di curare cani e gatti randagi e di trovare famiglie itali
ane adottive. Mangiamo local, carne e pesce in quantità, in un localino sul fiume.
Da un lato noi, sulla riva opposta il Dom Penzionera, lo squat di prima con il fumo acre dei fuochi, l'odore di piscio, le sboccate di vomito negli angoli. Non abbiamo voglia di mangiare...
Dopo pranzo andiamo al Krina Metal, un secondo squat in un'ex fabbrica di metalli, dove vivono 300 single men afgani. Intravediamo qualche minore. Alcuni giocano a cricket, altri raccolgono e bruciano la spazzatura, altri ancora ci si avvicinano. I problemi sono tanti: manca acqua per lavarsi, i respingimenti sono continui, c'è molta sofferenza.
Come per lo squat del mattino non aggiungiamo tante parole, bastano le immagini...
Ci prepariamo ad incontrare Claudia e Nicolò di Mediterranean Hope in un bar in centro a Bihać: vivono in città da un mese, cercando di capire di cosa c'è bisogno. Tra una chiacchiera e l'altra arriva il barista: non abbiamo pagato il parcheggio e ci hanno incatenato le ruote del pulmino. I soliti italiani, riescono a prendere una multina anche in Bosnia!
Tornando verso casa ripassiamo dal Dom Penzionera:
passano 15 ragazzi con zaini e sacchi a pelo, attendono il buio per tentare il "game"... il border è a pochi chilometri.
Concludiamo la giornata con gli avanzi del pranzo insieme a Leyla e Dzaneta ospiti nel nostro salottino.
Tante immagini da condividere, parole da raccontare... ma siamo stanchi, lo faremo domani.
Che sarà domenica, ultimo giorno di questo viaggio ai limiti dell'umano
DOMENICA 21 MARZO
Ultimo giorno, nevica da diverse ore.
Destinazione: quartiere generale di MSF-Emmaus a Doboj Istok, Bosnia nord-orientale, a qualche ora di auto. Siamo al margine del Cantone di Tusla, dove i territori di Federazione croato-musulmana e Repubblica Serba si inseguono e intrecciano.
Accanto al grande centro per anziani che ospita anche attività di autoproduzione agricola, visitiamo il Centro per minori migranti non accompagnati. Fascia di età 14-18 anni. Attualmente ospita 15 ragazzi (afghani, pakistani), ve ne erano 65 poco tempo fa, ne può accogliere fino a 90.
Una struttura adeguata, in precedenza era destinata ai molti orfani bosniaci della guerra civile privi di tutela.
Attualmente riceve i migranti minori segnalati ai Servizi sociali dalle Organizzazioni operanti sul terreno. Ognuno ha un tutore, ma i ragazzi come gli adulti sono in Bosnia solo di passaggio e quindi il più delle volte vogliono (e possono) lasciare la struttura per proseguire il loro viaggio verso la UE. E quando se ne vanno, di solito lo fanno in gruppo per affrontarlo insieme. Così la struttura velocemente può svuotarsi.
Chi invece si ferma, più o meno a lungo, non va neanche a scuola: l'età e le problematiche non consentono di fatto l'inserimento nel sistema scolastico bosniaco. Possono usufruire invece di varie proposte di animazione ed educative informali, compresi workshops di apprendimento linguistico.
Appena entrati c'è una piccola stanza con i tappeti e il Corano, al primo piano le camere e la sala TV, con gli orari delle 5 preghiere islamiche affissi al muro.
Alì, afghano, ci dice che domani se ne va: ripartirà verso i boschi ancora lontani del Game, ormai si è preparato a tentare. Sicuramente ne avranno già parlato, lui lo dice come una cosa normale.
Riusciamo a dare furtivi saluti agli altri ragazzi, niente foto niente battute, non si può. E ce ne andiamo anche noi.
Al termine del nostro viaggio siamo ospiti di Hamzalija Okanovic, fondatore di MFS Emmaus. Sguardo mite, figura carismatica, parole misurate. Musulmano di profondi sentimenti, il suo impegno civile e umanitario dura dalla guerra civile nella ex-Jugoslavia degli anni ‘90 ed è poi cresciuto nell'incontro con l'italiano Franco Bettoli e la realtà internazionale di Emmaus dell'Abbé Pierre.
Il dialogo con facilità prende la direzione del doloroso memoriale di Srebrenica, dei rapporti interreligiosi, dell'educazione alla pace, della difesa dei poveri... e poi si concentra sul desiderio attuale di costruire ponti di nuove amicizie, con le nostre realtà, con la nostra città di Bologna...
Dobbiamo tornare a casa e riordinare le idee, ma stiamo capendo che tutto ciò che abbiamo visto va tenuto insieme il più possibile: emergenza umanitaria, advocacy e tutela legale dei diritti, deterrenza della violenza sui confini.
E dovremo avere testa e pancia...: per fare rete tra attori diversi, per fare riferimento agli attivisti bosniaci già sul terreno, per dialogare e comprendere i punti di vista di società e istituzioni locali.
Noi intanto torniamo a casa con una intenzione precisa: #BolognaSullaRottaDeiMigranti
Un'idea di coinvolgimento dell'anima di una città. E una scelta di "andare a mettersi" sulla rotta, che passa a poche centinaia di chilometri e produce violenza e oppressione sulla porta di casa nostra.
Non come idea eversiva per scardinare la legalità, anzi l'esatto opposto: per richiamare le nostre istituzioni (le istituzioni siamo noi!) all'altezza dei valori fondanti la nostra civiltà, delle responsabilità storiche, di una politica lungimirante per affrontare le sfide a viso aperto. Che diversamente prima o poi ci travolgerebbero, facendo esplodere irreversibilmente pulsioni e contraddizioni irrisolte.
Salutiamo Leyla, Dzaneta e il presidente Hamzalija. Inizia il viaggio di ritorno. A cui non mancherà un'estenuante perquisizione alla frontiera croata porta d'Europa. Ma nemmeno prolungate condivisioni a caldo tra di noi, partiti con l'organizzazione di un semplice 'equipaggio' e tornati forse con l'anima di un gruppo vero.
Alberto Francesco Maria B. Maria R. Nico e Sara
