Come hai vissuto e come stai vivendo il tuo lavoro di insegnante in questa situazione di pandemia?
La pandemia mi ha dato l’occasione di mettermi in gioco. Sin dall’inizio di questa nuova, drammatica situazione, ho vissuto il mio lavoro come una sfida, una bella sfida: cercare di mantenere fermo, saldo il legame con i miei piccoli alunni (insegno in una scuola dell’infanzia), con le loro famiglie e con i colleghi.
Durante il primo lock-down, mi è sembrato di avere improvvisamente tantissimo tempo a disposizione e ho visto in questo tempo una risorsa incredibile per colmare le mie (grandi) lacune in campo digitale. Grazie alla connessione il legame con la classe e con il mio lavoro è stato mantenuto vivo. Ci siamo stati, gli uni per gli altri.
Dal rientro a scuola, a settembre, la sfida ha preso nuove forme.
Io e il mio collega di sezione, da anni, ci troviamo a dover “difendere” la nostra metodologia educativa e didattica ispirata, tra l’altro, all’outdoor education, all’educazione libertaria (“incidentale”), alla pedagogia della lumaca, una metodologia che va continuamente sostenuta sia nei confronti di colleghi e personale scolastico (in quanto implica una organizzazione della vita scolastica inconsueta), sia nei confronti delle famiglie, che avrebbero aspettative diverse rispetto a quello che ritengono la scuola debba fare.
Noi, in questa situazione pandemica, ci stiamo sentendo finalmente e paradossalmente liberi: le norme anti-covid raccomandano di svolgere all’aperto tutte le attività possibili? Bene, siamo finalmente autorizzati!
La nuova situazione impone la cura del benessere emotivo degli alunni, prima di ogni altro aspetto più strettamente didattico? Siamo pronti, sappiamo che non ci sono apprendimenti se non c’è benessere.
I giochi e materiali devono essere ridotti al minimo, per ragioni igienico-sanitarie? Ottimo, diamo spazio alla creatività, alla fantasia, all’invenzione imparando ad affrontare così anche la noia.
Ci sono paure, timori, soddisfazioni, delusioni di cui vuoi parlare?
Ho il timore che le “bolle” in cui siamo costretti faranno fatica a lasciarci, quando tutto sarà finito. Per alcuni è rassicurante ritrovarsi nel proprio piccolo mondo. Erano già restii prima a “mescolarsi”, a sentirsi comunità. Ho paura che questo periodo possa alzare muri che sarà molto difficile abbattere.
La più grande soddisfazione che sto avendo da insegnante, e che mi dimostra che la strada intrapresa è giusta, è vedere i bambini felici, felici di venire a scuola e di stare quasi sempre all’aperto, dove li stiamo seguendo in tutte le loro piccole e grandi scoperte: la corteccia di un tronco che imprigiona un sasso e scopriamo che l’albero potrebbe essere malato; una radice che assomiglia a un polipo e che, al caldo e alla luce, in una vaso in sezione, mette fuori le prime foglioline; le sculture con il fango; teatro, musica, educazione ambientale … tutto trova spazio cogliendo l’occasione giusta.
E ai primi colloqui con i genitori, alcuni ci chiedono se stiamo insegnando ai bambini le lettere e i numeri, perché li vedono impegnati nella scrittura e curiosi…
Si, in maniera indiretta lo stiamo facendo, non con le solite “schede”, ma con la cura di ogni momento. Questa è una grande soddisfazione.
Hai avuto aiuti dall’apparato istituzionale della scuola? E hai trovato ostacoli?
Mi sono sentita molto sostenuta dal Progetto 0-6, offerto dall’Unione Comuni Reno Lavino Samoggia e accolto dal mio Istituto Comprensivo. Grazie a questo progetto, che intende raccordare il lavoro dei Nidi con quello delle scuole dell’Infanzia del territorio, abbiamo potuto usufruire di uno sportello pedagogico d’emergenza sin dal primo lock-down, messo a disposizione sia degli insegnanti che delle famiglie. Mi è stato di grande supporto potermi confrontare, ogni volta che ne ho avuto bisogno, con la dott.ssa Sonia Vela. Con la ripresa delle attività scolastiche abbiamo continuato a collaborare sia organizzando momenti di osservazione da parte di Sonia Vela, nella nostra classe, sia con la sua mediazione nel corso dei colloqui individuali con i genitori, che si sono svolti in remoto. Si tratta di un’opportunità molto preziosa per migliorare la qualità della vita scolastica, per grandi e piccoli.
Non mi vengono invece in mente particolari ostacoli.
Quali strategie e modalità di lavoro hai messo in atto? Quali tra queste hanno avuto una elaborazione collegiale e come?
Perché i bambini comprendessero che quest’anno sarebbe stato un anno “diverso”, li abbiamo accolti in un ambiente svuotato di tutto, spiegandone le ragioni e proponendo loro di cercare insieme soluzioni.
Così giorno per giorno abbiamo condiviso le nuove routine (cambio delle scarpe all’ingresso a scuola, igienizzazione frequente delle mani, costruzione di una scatola personale contenente alcuni giochi, uso di quaderno e astuccio personali per il disegno libero…).
Abbiamo perlopiù mantenuto le stesse routine degli anni precedenti, modificando il modo di metterle in pratica: per le routine del mattino, ad esempio, abbiamo plastificato le immagini che usiamo per dire che giorno è, che tempo fa e come ci sentiamo, in modo che possano essere facilmente igienizzabili.
Abbiamo reso autonomi i bambini nel cambio per uscire in giardino, per cui indossano pantaloni da pioggia e stivaletti.
Non c’è stata una condivisione delle strategie a livello di scuola, soprattutto perché la nostra metodologia non è condivisa dalle altre classi.
A livello di Istituto è stato invece condiviso l’uso del registro elettronico (quindi delle e-mail istituzionali) anche per gli alunni della scuola dell’infanzia.
Quali sono stati il meglio e il peggio che hai visto emergere?
Il meglio l’ho visto emergere dai colleghi che hanno cercato legami e rete, mettendo in condivisione buone pratiche e soprattutto entusiasmo.
Ho visto emergere il meglio dai miei alunni, dai bambini che sono resilienti per natura… e anche dalle loro famiglie, che ci stanno supportando e gratificando.
Vedo emergere il peggio dai disfattisti, i pessimisti di professione, che remano contro il buono, anche nella scuola, tutti i giorni, quasi con metodo. Sono profondamente disturbata da queste persone, che sembrano aver trovato ragione del loro approccio insano proprio nella pandemia.
Che cosa hai notato in questa situazione e che non avevi notato prima (nella scuola, negli alunni, nei colleghi)?
Nella scuola: ho notato che le situazioni non ci cambiano. In un primo tempo avevo sperato che la pandemia fosse l’occasione di rinnovare la scuola, perché senza un cambiamento non avremmo raggiunto più i nostri ragazzi. Ho scoperto che non è così, ahimè. La pandemia ha solo funzionato da lente di ingrandimento, mettendo in luce il buono e il cattivo delle nostre pratiche. Ma non ha portato cambiamento se non in chi già si muoveva in quella direzione.
Negli alunni: quest’anno che non sento di dover continuamente giustificare il mio modo di lavorare, ho alunni più felici. Vedo che è proprio vero che imparano di più, se felici.
Nei colleghi: direi di non aver notato nulla di nuovo…
C’è qualcosa che hai imparato e che secondo te potrebbe essere mantenuto nella normalità?
Ho imparato a cercare una comunicazione più serena nell’ambiente di lavoro.
Serve sempre.
Ho maggiore dimestichezza con lo strumento digitale, e intendo sfruttare quanto ho imparato per documentare il nostro lavoro in modo più puntuale.
Mi piace che, a partire dal lock-down, abbiamo cominciato a comunicare con le famiglie via e-mail, tramite indirizzo istituzionale. Dalle semplici comunicazioni quotidiane a questioni più personali, riguardo i bambini e la vita scolastica. Trovo molto pratici anche i colloqui individuali tramite piattaforme, per cui si riesce a incontrare magari entrambi i genitori anche quando si trovano in sedi diverse per ragioni di lavoro. Mi piacerebbe che questa possibilità restasse, anche per alcune riunioni di lavoro, e non che fosse solo “lavoro agile” previsto in tempo di pandemia.
Rientrerebbe in un risparmio di costi, in termini di tempo e di energia, e quindi in linea con l’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Ma sembra ancora fantascienza…