La Filanda

I viaggi degli escursionisti
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AFGHANISTAN - DI MAURIZIO

Afghanistan

Il viaggio più bello che ho fatto (fino ad ora)

Corre l’anno 1978, ho 27 anni, devo dimenticare e, per farlo, ho bisogno di sensazioni forti.

“Bazzicando” la facoltà di Pedagogia, vengo a conoscenza di un viaggio che, Università e Associazione Genitori del prof. Cammelli, stanno organizzando.

Mi informo, c’è posto e decido di andare, nonostante la situazione politica e sociale sia difficile: manifestazioni, tensioni sociali, qualche attentato (nel gennaio 79 l’Afghanistan verrà invaso dai Russi)

Si parte a fine luglio: il gruppo è composto da persone “anziane” (oggi non direi così) e da pochi giovani; un gruppo tranquillo visiterà città, siti archeologici, bazar famosi, un gruppo più avventuroso andrà, con 5 fuori strada, da Herat a Kabul, attraversando il deserto, da ovest a est.

Dopo alcuni giorni a Kabul, lasciamo il gruppo tranquillo e ci facciamo 500 km su gipponi Land-Rover percorrendo una strada accettabile (costruita dagli americani), fino a Kandahar; poi altri 500, percorrendo invece una strada,  costruita dai russi con blocchi di cemento (ve la raccomando) fino ad Herat (cittadina ai confini con l’Iran).

Tre giorni pieni di colori, di terre rosse, di minareti, di carovane di cammelli, di bazar affollati, di gente fiera e forte, di tramonti mozzafiato, una bellezza selvaggio di paesaggi inimmaginati.

Ad Herat comincia il nostro vero viaggio: un deserto di roccia, spesso colorata, anche di verde, quando raramente si trova una sorgente, un silenzio imbarazzante (quando non soffia il vento), per ore e ore non si vede nessuno, poi dal nulla appaiono capre e pecore, apparentemente sole (qualcuno le osserva nascosto).

La prima meraviglia è il minareto di Jam, scoperto da archeologi francesi con una ricognizione aerea e trovato dopo tre anni di ricerche nel deserto.

 

Minareto meta di pellegrinaggi dei più devoti, ma anche dei più avventurosi.

Ci informano della presenza nei dintorni di scorpioni velenosi e cosi decidiamo di dormire sul tetto di una “casa” di fango e paglia (muovetevi con cautela, ci dicono, altrimenti si può cadere di sotto)

Si riparte da Jam il giorno dopo: la pista nel deserto è facile, ma quella sulle montagne è molto complicata .

Si procede piano e con cautela e la schiena prende colpi costantemente.

Le storie di viaggio raccontate dalla nostra guida Homaium Karimpur, giovane studente universitario, che rivedrò poi a Bologna successivamente, in fuga dalla guerra e diretto da parenti in Canada, purtroppo si avverano: la nostra jeep cade in un burrone; inutili i tentativi di rimetterla in strada, così l’autista rimane a presidiarla; non abbiamo mai saputo per quanto tempo.

Dopo le medicazioni ci sistemiamo sugli altri 4 mezzi e ripartiamo.

Verso sera, dopo tante ore di auto, di deserto con il nulla, arriviamo al nostro alloggiamento: Yurte lussuose, con letti di legno, senza materassi, solo con una coperta (ve la raccomando).

Ce ne andiamo a letto immediatamente, ignari delle meraviglie che avremmo visto il giorno dopo.

I laghi di Bande Amir: un fiume sotterraneo, che non si sa da dove ha origine, improvvisamente affiora e, in pieno deserto, forma 5 laghi, uno più bello dell’altro.

Il fiume poi dopo alcuni km. sparisce nelle crepe del deserto.

Lo straordinario è che abbiamo circumnavigato i 5 laghi a cavallo, senza sella, solo con due staffe e con una coperta sotto al sedere.

Meno male che i cavalli sapevano da soli la strada e andavano al giusto passo, pensando solo ad arrivare, il più presto possibile, ai due posti dove avrebbero mangiato.

Presa un po’ di dimestichezza, ci siamo goduti uno spettacolo entusiasmante, con panorami lunari, scorci sull’acqua stupendi, sole cocente, ma arietta rinfrescante, acqua gelata (chi ha provato ad entrarci è rimasto congelato).

Siamo ritornati alle yurte stremati e con il di dietro fumante !!!

Ultima sorpresa del deserto sono i grandi Budda di Bamyan (2 giganteschi e 1 più piccolo).

Pensate che un tempo erano ricoperti d’oro, custoditi da tanti monaci, che abitavano all’interno di essi, in tante cellette (come i nostri).

Vinta un po’ di claustrofobia mi sono addentrato nei vari cunicoli con la guida, uscendo ogni tanto dalle finestrelle che si vedono dalla foto.

Il pensare che sono state scolpite a mano e che hanno resistito al tempo; purtroppo distrutte recentemente