La Filanda

Nonviolenza
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PIU' SALUTE MENO ARMI

La drammatica situazione causata dal COVID-19 deve farci riflettere e ripensare alle nostre priorità, al concetto di difesa, al valore del lavoro e della salute pubblica. Se gli ultimi mesi ci hanno insegnato qualcosa, è che la sicurezza non si può raggiungere con la potenza militare.

Ciò nonostante le spese militari sono sempre in aumento.

Ne abbiamo parlato, nel novembre scorso, con Francesco Vignarca, Coordinatore delle Campagne nella neonata Rete Italiana Pace e Disarmo, che da sempre si occupa di questi temi con professionalità e concretezza.

 

Quali sono le azioni che anche il singolo cittadino può intraprendere per contrastare il crescente interesse per l’aumento di investimenti in armamenti

Sono stato coordinatore della Rete italiana Disarmo fino al settembre scorso quando Rete italiana Disarmo si è unificata con Rete italiana per la Pace dando vita a Rete italiana per la Pace e il Disarmo. Organismo che vede coinvolti 75 organismi, associazioni, sindacati, centri di ricerca, non tutte e non solo organizzazioni che si occupano di disarmo, ma che tutte insieme lavorano quando questi temi si sviluppano in azioni. Proprio perchè solo mettendo insieme capacità, energia e competenze si può fare qualche passo concreto, affiancando a un pacifismo ideale e di cuore, molto forte in Italia, un pacifismo di testa. Quindi non mera testimonianza, ma ogni giorno un passo concreto. Un approccio simile a quello che è stato per il commercio equo, un approccio concreto e che vuole cambiare realmente le cose, offrendo una strada, un percorso reale.

Alcuni successi non irrilevanti sono stati acquisiti, penso alla campagna Banche armate.

La difesa della legge 185 del 1990, che vieta le esportazioni di armamenti verso paesi implicati in un conflitto armato o i cui governi sono responsabili di accertate violazioni di diritti umani.

L’iniziativa per Un’altra difesa è possibile, per la difesa nonviolenta; che ha raccolto più di 50 mila firme, è quindi una legge di iniziativa popolare che è stata proposta nella scorsa legislatura in Senato e in questa legislatura presentata con una petizione costituzionale.

Successi internazionali come la campagna per il Trattato di proibizione delle armi nucleari entrerà in vigore il 22 gennaio 2021 e impedirà specificamente l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari.

La campagna per il Trattato ha portato nel 2017 il premio Nobel per la pace a ICan,

 

Quindi se la società civile si muove insieme con il cuore e con la testa i risultati arrivano, per due motivi principalmente:

Chiediamo cose concrete, giustizia sensatezza e convenienza, intesa proprio come convenienza economica, non voli pindarici, proponiamo dati concreti, basati su numeri veri che nessuno smentisce.

Abbiamo introdotto il concetto di disarmo umanitario che propone percorsi di solidarietà e sostegno per proteggere le persone. Interventi visti non più successivi a tragedie e danni, quasi sempre causati dall’uomo, ma attività, azione sulle cause dei problemi, disarmando e disattivando i conflitti.

Un concetto fondamentale, umano, noi disarmiamo perché proteggiamo le persone, una proposta che ha coinvolto al nostro fianco molte associazioni umanitarie che vedono, anche grazie ai dati che noi offriamo, come intervenire prima

L’iniziativa Stop armi all’Egitto, intrapresa con tante altre associazioni come Amnesty International, Oxfam e altri che non si occupano solo di nonviolenza, sta proprio in questa linea. Come pure la campagna no armi allo Yemencontro la vendita di armamenti ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti coinvolti nel conflitto in Yemen, una catastrofe umanitaria delle peggiori. 

 

D’altra parte nulla si ottiene dal nulla, bisogna costruire un percorso per raggiungere l’obiettivo, lavorare tutti insieme, attraverso delle tappe, per studiare, informare, convincere.

Un esempio è l’impegno contro i famigerati F35: grazie alla mobilitazione e in parte alla crisi economica, l’Italia ha diminuito il programma di acquisto dei velivoli, dimostrando che erano superabili le clausole di recesso dal contratto. Lo stato ha finanziato 800 milioni di euro per poter costruire la struttura con promesse di 10 mila posti di lavoro poi ridotte a 6 mila. I dati impietosamente parlano di tutt’altri svolgimenti: nel 2019 per produrre solo 41 arti alari e per assembrare 3 F35 con un fatturato di 433 milioni di euro si è riscontrato un organico di 955 unità. Solo il 10% di quello promesso e 1/6 di quello che era stato riaccordato dopo le prime contestazioni.

La ricchezza dell’economia militare è una favola. Proviamo a fare qualche confronto e parliamo di un fatturato di tutto il comparto militare e della difesa italiana di 17 miliardi, rispetto al 2019, rappresenterebbe lo 0,9% del PIL. Se andiamo a valutare questi numeri vediamo che l’export della difesa italiana sarebbe di 11,3 miliardi corrispondente al 2,35% dell’export complessivo. Esportiamo più ferramenta e biancheria che armi.

Gli addetti al lavoro nel settore militare sono circa dello 0,21% della forza lavoro complessiva (con un indotto del 0,65%). I dati rilevano che per ogni milione di dollari investito nella difesa si ottengono meno di 7 posti di lavoro.

Investendo lo stesso milione di dollari in energia eolica i posti sarebbero 8,4, nell’energia solare 9,5, nell’educazione elementare secondaria 19,2, nell’educazione superiore 11,2, nelle infrastrutture 9,8 e nella sanità 14,2.

Le vere minacce a vita, salute e diritti di noi cittadini non vengono da fantomatiche ipotesi di attacco esterno, ma da situazioni di crisi (sanitaria, economica, sociale) che devono essere affrontate con i giusti strumenti, sicuramente non militari. La pandemia Covid 19 ha messo in evidenza in modo drammatico e straziante questa realtà. Senza fare la Cassandra già a marzo scorso abbiamo sottolineato il fatto che mentre tutto si fermava l’industria bellica aveva sbilanciamoci il lasciapassare per produrre nel corso di questi mesi. Sbilanciamoci ha fatto analisi che dimostrano che se in questi ultimi venti anni avessimo investito in scuola.. salute e sanità quello che è andato in armamenti, avremmo una sanità a livello di quella tedesca.

E abbiamo ora misurato tutti che differenza faccia una buona o buonissima sanità. Vuol dire che le ricette erano fattibili e concrete. Vuol dire che è una questione di scelte.

Quando si parla di difesa in molti pensano al Ministero della difesa, ai militari, agli armamenti. Ma difesa non è quello, difendere ciò che si è e quello che si ha, in senso comunitario, è un principio sacrosanto, ma se diventa la difesa dall’esterno, da una minaccia ipotetica diventa un termine superato, come pure sicurezza, se mi spinge a rinchiudermi perché fuori mi “aggrediscono”. Sfruttando questi due termini e giocando sulle paure, dalle torri gemelle di New York in poi gli investimenti in armamenti sono aumentati a livello mondiale del 50%.

Noi dobbiamo smontare questa narrazione portando fatti e numeri concreti, e cambiare anche il vocabolario: non parliamo di sicurezza, ma di salvaguardia, nel senso di salvare le persone, le comunità e guardare quello che può creare problemi. Le vere minacce sono le disuguaglianze sociali, i cambiamenti climatici, la pandemia, i conflitti scatenati per problemi economici da pochi, per l’interesse di pochi.

Come fare? Bisogna avere i dati: nel 2021 il ministero della difesa avrà a disposizione 1,6 miliardi di euro in più per mantenere e modernizzare l’arsenale. Noi avviamo un campagna per chiedere moratoria armi 2021una moratoria per il 2021 a queste spese. Pratichiamo un Consumo critico, scegliamo Banca etica, per togliere i soldi sotto i piedi ai produttori di armi.

Un punto fondamentale è informare, se avessimo più tempo dedicato sui mass media per divulgare dati, numeri, proposte, avremmo un appoggio dalla cittadinanza veramente forte. 

 

Qualcuno obietta che nel paese un dipartimento di difesa ci deve essere

Non c’è una soluzione facile dobbiamo ragionare e avere ben presente la complessità dei problemi e delle soluzioni. Ma per esempio, tanto per cominciare, un solo esercito in Europa invece di 28 ridurrebbe almeno i costi

Cosa si può fare in concreto come cittadini ?

Gli oltre 50.000 cittadini italiani che da anni chiedono all’Italia di dotarsi di strumenti e politiche di intervento nonviolento nei conflitti, in Italia e all’estero, e in alternativa alla difesa militare, hanno visto oggi le istituzioni italiane fare un passo avanti in questa direzione.

La prima fase di azione della mobilitazione si è conclusa positivamente con l’ingresso al Senato di una fattiva proposta per la realizzazione di una difesa basata su principi di nonviolenza per una concezione ampia e costituzionale della Difesa.

La Campagna prosegue l’azione di sensibilizzazione avviando un dibattito sulla necessità che anche nel nostro Paese venga riconosciuta a livello istituzionale una forma di difesa alternativa a quella militare.

 

 

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