Ne parleremo con
Vera Gheno sociolinguista specializzata in comunicazione digitale (si occupa soprattutto di lingua dei social e dei comportamenti linguistici delle persone in rete).
Federico Faloppa coordinatore della Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio; ordinario università di Reading (Regno Unito)
Avete mai sentito parlare di discorsi d’odio? Di hate speech? Forse si.
Ma cosa si intende davvero quando si parla di questo fenomeno? Ha ragione chi dice che “non si può più dire niente”?, ma soprattutto siamo sicuri che il fenomeno non ci riguardi?
Cercheremo di rispondere a queste e ad altre domande per iniziare a conoscere il fenomeno dei discorsi d’odio.
Ci metteremo in discussione e proveremo a capire quanto e come il fenomeno ci riguarda e cosa possiamo fare per contrastarlo.
La serata sarà trasmessa in diretta face book sulla pagina di Percorsi di pace.
Si sente spesso parlare di hate speech ma, per quanto si tratti di un’espressione tristemente diffusa, in molti ignorano l’esatto significato del termine inglese. La traduzione in italiano, discorsi d’odio, rende invece immediatamente chiaro l’argomento.
Inizialmente l’argomento era sintetizzato nell’espressione ‘incitamento all’odio’ ed era riferito a manifestazioni di intolleranza razziale. Pian piano la sensibilità sul tema è cresciuta e ha incluso nelle categorie bersagliate, e quindi oggetto di tutela, anche le minoranze religiose, i disabili, gli anziani e le persone LGBT.
Wikipedia definisce chiaramente l’argomento e il concetto così: “Con l’espressione incitamento all’odio (o ‘discorso di incitamento all’odio’, che traduce il concetto di hate speech usato dalle organizzazioni internazionali) si intende un particolare tipo di comunicazione che si serve di parole, espressioni o elementi non verbali aventi come fine ultimo quello di esprimere e diffondere odio e intolleranza, nonchè di incitare al pregiudizio e alla paura verso un soggetto o un gruppo di persone accomunate da etnia, orientamento sessuale o religioso, disabilità, appartenenza culturale o sociale e via dicendo. Il fenomeno ha acquisito particolare visibilità ed estensione con la diffusione dei social network, spingendo i governi e l’associazionisno a mettere in atto diverse azioni di contenimento o repressione”
tutelare il principio di uguaglianza senza superare i confini nei quali rientra la libertà di espressione risulta piuttosto complesso.
Con l’avvento di internet si sono sviluppati nuovi canali di diffusione dell’odio e dell’intolleranza, tra i quali i vari e numerosi social (Facebook, Twitter, YouTube,…).
La crescente esigenza, a livello internazionale, di arginare il fenomeno sul web ha portato la Commissione Europea ad intervenire attraverso la definizione di un codice di condotta. Si tratta, in sostanza, di un insieme di regole specifiche che obbligano i vari social a esaminare le segnalazioni che riguardano qualsiasi forma illegale di incitamento all’odio in circolazione sulle rispettive piattaforme.
Le procedure impongono alle grandi imprese di internet un impegno costante per la rimozione tempestiva di tutti i contenuti ritenuti inadeguati.
Si presenta, ovviamente, l’esigenza di trovare un punto di equilibrio tra la tutela delle categorie più bersagliate dai discorsi di odio e la libertà di espressione. la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sottolineato più di una volta che: le leggi rivolte a contrastare il linguaggio dell’odio, e quindi finalizzate a tutelare alcune categorie di individui, sono ritenute legittime anche se esse in parte limitano la libertà di espressione.
Il problema del contrasto ai discorsi d’odio incrocia oggi i dilemmi e le contraddizioni della nascente era digitale. In un rapporto di recente pubblicazione, il Consiglio d’Europa ha inserito i discorsi d’odio all’interno del più vasto problema dell’information disorder, un inquinamento dei contenuti su scala globale che vede intrecciarsi le “patologie” dell’ hate speech e delle cosiddette fake news: la disinformazione nascerebbe dall’incontro tra mis-information (diffusione di notizie false ma innocue) e mal-information (notizie vere ma diffuse con l’intenzione di colpire).