Parto da un’ammissione che è al tempo stesso una rivendicazione. Un gesto politico. Noi che ci
credevamo liberate, noi che avevamo un lavoro, talvolta perfino amato. Noi che con il
nostro compagno avevamo costruito una relazione paritaria, un equilibrio efficace nella
distribuzione dei compiti che non ricalcasse stereotipati ruoli di genere. Noi che avevamo
imparato a lavorare su quel sentimento costante di inadeguatezza e di colpa che le donne
sembrano sorbire fin dalla nascita insieme al latte materno. Noi oggi ci scopriamo così
simili a donne di un tempo che pensavamo superato, ricacciate indietro, all’ombra di mura
che pure una volta avevamo abbattuto. Sbiadiamo. Nell’ultimo anno mi guardo allo
specchio e stento a riconoscermi. Non so più bene chi sono, dove sono. Mi sento tirata da
ogni parte e perdo il baricentro. Barcollo. Non succede soltanto a me. Lo capisco dai silenzi
delle amiche. Abbiamo lo stesso sguardo smarrito, i gesti nervosi, i sorrisi tesi o tristi.
Resistiamo, aggrappate chi all’ironia, chi alla speranza, chi all’attivismo, ma è inevitabile
che, a distanza di un anno e senza risposte istituzionali all’altezza della situazione, le
risorse individuali siano prossime a esaurirsi. Le donne più di altri soggetti pagano la crisi
che stiamo vivendo. Intorno a noi sono diventati tutti più fragili, hanno bisogno delle
nostre cure, ancora una volta siamo noi le più forti, quelle che sanno cosa fare quando la
casa vacilla. E così l’autonomia si restringe rapidamente. Siamo ricacciate nell’invisibilità.
Accade alle tante che si erano inventate professioni autonome. Ma come è possibile
scrivere progetti, fare riunioni, rispondere a e-mail, tenere lezioni, in una casa in cui
bambini piccoli chiedono attenzioni o fanno scuola davanti al computer? Come è possibile
sottrarsi alle loro esigenze? D’altra parte sono rare o inesistenti le occasioni per
rigenerarsi, a causa del restringersi degli spazi di movimento e dell’erosione del tempo
disponibile. So di cosa parlo, sono un’insegnante che da dodici mesi lavora a distanza, con
un figlio di sei anni che nella stanza accanto impara a distanza. Gli equilibri sono saltati, la
fatica si è moltiplicata. Non ho più un tempo solo per me, non ho più alcun silenzio per
lavorare, leggere, scrivere. Nulla che mi permetta di rigenerare le energie, pochissimo
nutrimento. Nella mia famiglia sono quella che paga il prezzo più alto.